musei montermartini

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mercoledì 23 marzo 2011

opinioni sul nucleare

Il generale Carlo Jean ha affermato ancora che il sito geologico di Scanzano Jonico può senz’altro essere identificato come «la migliore soluzione sotto il profilo della sicurezza e della salvaguardia ambientale».


La decisione si basa «su uno studio condotto da un gruppo di lavoro Sogin con la partecipazione di esperti di altre istituzioni che ha esaminato varie opzioni di deposito».

Formulando quindi l’indicazione che è stata poi fatta propria dal governo sulla base di uno studio effettuato in passato (…e cioè nel lontano 1977) dall’Enea e dal Servizio geologico nazionale su incarico della Commissione Europea sulle formazioni saline profonde idonee ad ospitare rifiuti radioattivi.

Nel dossier presentato dal gen. Jean è indicato che il sito della cittadina lucana è caratterizzato dalla presenza di una formazione geologica «estremamente stabile costituita da un giacimento di salgemma dello spessore medio di 150-200 metri per una estensione di oltre 10 chilometri quadrati, protetto da uno strato di argilla dello spessore di oltre 700 metri». E proprio una formazione geologica analoga è stata quella prescelta - viene ricordato nella documentazione - per realizzare nel New Mexico (Stati Uniti) il deposito Wipp entrato in esercizio nel 1999. La soluzione tecnica di riferimento - dice ancora il dossier - «riduce a zero l’impatto radiologico sulla popolazione e sull’ambiente, superando nel senso della sicurezza anche i limiti di esposizione raccomandati in ambito internazionale e nazionale». (25/11/03) [1]









Il premio nobel per la fisica e presidente dell’Enea Carlo Rubbia ha espresso «forti perplessità» sullo studio effettuato dalla Sogin che poi ha portato ad individuare a Scanzano il territorio ideale per la realizzazione del deposito nazionale di scorie nucleari.

Rubbia ha espresso il suo parere in Commissione ambiente alla Camera sottolineando che lo studio è stato effettuato in un tempo troppo breve, rispetto ad altri analoghi all’estero, e si è fondato solo su materiale bibliografico e non anche su indagini tecnico-sperimentali.

Rubbia sostiene inoltre che «non corrisponde alla realtà l’affermazione in base alla quale il sito di Scanzano sarebbe un caso unico», con caratteristiche praticamente identiche a quelle di un sito che dal 1999 è operativo negli Usa (il sito Wipp nel New Mexico).

Rubbia ha poi precisato che «la selezione di quest’area in Basilicata non è in alcun modo correlabile al lavoro svolto dalla task force dell’Enea per conto della protezione civile che aveva come scopo quello di individuare le aree idonee per ospitare un deposito superficiale (e non geologico!) per le scorie di seconda categoria (e non di terza categoria!)».

Rubbia afferma poi che «non presenta solide basi scientifiche e non rientra in alcuna logica gestionale consolidata» la considerazione dello studio secondo cui «il sito di Scanzano verrebbe utilizzato nell’immediato per lo smaltimento dei rifiuti di seconda categoria e, contemporaneamente, come laboratorio per indagini sitologiche più approfondite, anche mediante l’installazione di un laboratorio sotterraneo, per la verifica dell’idoneità ad ospitare anche la terza categoria ed i combustibili irraggiati».

Secondo Rubbia le esperienze di altri Paesi evidenziano che «le fasi di indagini» sui siti «devono necessariamente precedere qualsiasi messa a dimora di rifiuti radioattivi di qualsiasi categoria». Il presidente dell’Enea rimarca poi il fatto che se il sito di Scanzano non dovesse rivelarsi idoneo ad accogliere le scorie di terza categoria, ma solo quelle di seconda, «risulterebbe sproporzionato allo scopo». Rubbia boccia l’ipotesi, presente nel decreto originario, ma poi rientrata, di stoccare comunque in via provvisoria a Scanzano i rifiuti provenienti da altre località. Tale operazione «richiederebbe delle opere di protezione e tempi di realizzazione comunque confrontabili con quelli necessari per gli opportuni miglioramenti dei siti attuali».

Lo studioso accenna poi al problema dei numerosi trasporti «essi stessi fonte di notevole rischio e preoccupazioni». Da tutto ciò discende, secondo il fisico, «l’opportunità di portare a termine senza indugio e in maniera efficace i programmi in corso sui rispettivi siti finalizzati ad aumentare i livelli di sicurezza attuali».

(25/11/03) [2]





Ma il fisico Carlo Rubbia già qualche tempo fa si era espresso sul problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi. Vengono qui sotto riportate le esatte parole di Carlo Rubbia:

«Si apre a questo punto grave problema dell'eliminazione dei rifiuti radioattivi. Con vari metodi sono inceneriti, triturati, macinati, pressati, vetrificati e inglobati in fusti impermeabili a loro volta disposti in recipienti di acciaio inossidabile, veri e propri sarcofaghi in miniatura.

Queste "vergogne" dell'energia nucleare vengono nascoste nelle profondità sotterranee e marine. Non abbiamo la minima idea di quello che potrebbe succedere dei fusti con tonnellate di sostanze radioattive che abbiamo già seppellito e di quelli che aspettano di esserlo. Ci liberiamo di un problema passandolo in eredità alle generazioni future, perché queste scorie saranno attive per millenni.

La sicurezza assoluta non esiste neppure in quest'ultimo stadio del ciclo nucleare. I cimiteri radioattivi possono essere violati da terremoti, bombardamenti, atti di sabotaggio. Malgrado tutte le precauzioni tecnologiche, lo spessore e la resistenza dei materiali in cui questi rifiuti della fissione sono sigillati, la radioattività può, in condizioni estreme, sprigionarsi in qualche misura, soprattutto dai fusti calati nei fondali marini. Si sono trovate tracce di cesio e di plutonio e altri radioisotopi nella fauna e nella flora dei mari più usati come cimiteri nucleari. Neppure il deposito sotterraneo, a centinaia di metri di profondità può essere ritenuto secondo me, completamente sicuro. Sotto la pressione delle rocce, a migliaia di anni da oggi, dimenticate dalle generazioni a venire, le scorie potrebbero spezzarsi o essere assorbite da un cambiamento geologico che trasformi una zona da secca in umida, entrare quindi nelle acque e andare lontano a contaminare l'uomo attraverso la catena alimentare. A mio parere queste scorie rappresentano delle bombe ritardate. Le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente. [3]



Veronesi. riflessione.

La politica non può permettersi ripensamenti, ma la scienza ha l’obbligo di pensare più a fondo. Lo sgomento per quanto sta accadendo in Giappone e l’intreccio fra le differenti analisi della vicenda rendono difficile esprimere posizioni chiare, ma è mia intenzione farlo. Da scienziato e in qualità di presidente dell’Agenzia per la Sicurezza del Nucleare propongo un’ulteriore riflessione sulle metodologie che porteranno alla reintroduzione del nucleare in Italia.



Quanto sta accadendo in Giappone, in particolare a Fukushima, ha portato alcuni rappresentanti delle istituzioni nostrane a rivedere la propria posizione in merito alla possibilità di realizzare nuovi impianti nucleari in Italia. Anche tra le regioni che lo scorso anno avevano ben accolto l’ipotesi avanzata dal governo di installare le nuove centrali sul proprio territorio, ovvero Lombardia, Piemonte, Campania e Veneto, si registrano i primi dietrofront.




Luca Zaia (Lega Nord) ha rivisto la propria posizione e opposto il suo no al progetto, dichiarando che fino a quando ricoprirà il suo ruolo non saranno installati nuovi reattori in Veneto, in quanto la morfologia della regione non presenta le caratteristiche necessarie. Dello stesso parere Stefano Caldoro (PdL), che si rimette alla decisione degli esperti per quanto riguarda la Campania, ricordando però che “In Italia vi è un gap energetico da colmare e, per questo motivo, non bisogna effettuare scelte ideologiche”. Questo nonostante, secondo quanto riportato da Repubblica, ieri si sia registrata una scossa del terzo grado proprio nei pressi di Benevento.



Cauto sul tema anche Roberto Formigoni (PdL) per la Lombardia, che ha parlato di rischi ben più contenuti rispetto al Giappone in termini di sismicità del territorio. “La nostra regione è autosufficiente per quanto riguarda la produzione di energia”, ha dichiarato, “e di questo bisognerà tenere conto quando si penserà a dove far sorgere le nuove centrali”.



Per il Piemonte si è pronunciato Roberto Cota (Lega Nord), con un discorso del tutto simile a quello già riportato per il Veneto: “Dire no in questo momento al nucleare sarebbe da ipocriti, anche perché ci sono molte centrali francesi vicine al nostro territorio, ma il Piemonte non offre caratteristiche adatte a ospitare nuovi impianti”. Il terremoto in Giappone, a quanto pare, deve aver aperto gli occhi su caratteristiche dei territori fino a pochi giorni fa sconosciute ai suoi rappresentanti.



Meno preoccupato invece Raffaele Lombardo (Movimento per le Autonomie), che dalla Sicilia ricorda come il rischio sismico in Italia sia di gran lunga inferiore rispetto a quello che interessa il paese nipponico. Emilia Romagna, Puglia, Lazio, Toscana e Basilicata restano invece coerenti con la posizione assunta in passato, continuando ad opporre il proprio secco no all’ipotesi di un ritorno al nucleare.


Roma, 20-03-2011




Greenpeace, insieme con il gruppo giapponese Citizens Nuclear Information Centre (CNIC), chiede un avanzato piano d'evacuazione e ogni misura di protezione possibile per le persone ancora all'interno della zona di esclusione di 30 chilometri, cos come per le donne incinte e i bambini nelle aree contaminate anche oltre i 30 chilometri.

"Mentre la crisi continua a Fukushima, e' chiaro che le autorita' giapponesi - sostiene Jan Beranek, responsabile della campagna Nucleare di Greenpeace International - non sono in grado di tutelare adeguatamente la salute pubblica.

Nonostante le rassicurazioni che ci sarebbero pochi rischi per la popolazione, abbiamo visto un'evacuazione estesa e una crescente contaminazione radioattiva nella catena alimentare.

Purtroppo le autorità giapponesi non stanno agendo come la situazione richiederebbe, mettendo in primo piano la tutela della salute pubblica.

Adesso c'è bisogno che il governo comunichi tempestivamente alla gente le migliori misure per proteggersi dalle radiazioni e che metta in atto un piano di emergenza". "In Italia - aggiunge Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace - il tentativo di evitare il referendum è già partito.

Greenpeace con le altre associazioni riunite nel Comitato referendario chiede l'accorpamento con le amministrative di maggio e di devolvere la cifra risparmiata a favore della ricostruzione del Giappone. Abbiamo raccolto oltre 100 mila firme sul web, il governo prenda una decisione saggia, faciliti la partecipazione democratica risparmiando risorse".


La decisione sul nucleare in Italia non va presa "sull'onda delle suggestioni" ma sulle "certezze che la tecnologia può dare e che ha sempre" per risolvere i problemi energetici nel mondo. E' l'auspicio del sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, a Ravenna per partecipare alla decima edizione di Offshore Mediterranean Conference. "Tutto quello che è accaduto con il Golfo del Messico" e con i recenti incidenti "in Giappone", ha spiegato nel suo intervento Saglia, "pone al centro" l'esigenza di "una agenda politica energetica duratura". "Perché questo si possa avverare - ha aggiunto - è necessario che la comunità scientifica e le industrie" del settore "contribuiscano a dare buone informazioni alla classe politica la quale ha il dovere di non assumere decisioni sull'onda delle suggestioni ma sull'onda delle certezze che la tecnologia può dare che ha sempre del resto risolto i problemi che l'umanità si è trovata davanti".


Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha lanciato un messaggio chiaro al Governo Berlusconi in materia di energia nucleare. Secondo il capo dello Stato occorre sviluppare la ricerca delle fonti energetiche alternative e rinnovabili perché è indispensabile individuare nuovi modelli e strumenti capaci di coniugare lo sviluppo economico con la rigorosa salvaguardia del pianeta e dei suoi equilibri ambientali.




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