Angela Veronese (Aglaia Anassillide) nacque a Caonada il 20 dicembre 1778 da Pietro Rinaldo e Lucia. Lui era giardiniere mentre lei era figlia di un fabbro. Il signor Bassanini di Venezia abitava vicino nella villa di Biadine ed regalava alla sua famiglia libri e stampe profane e sacre. Angela era di costituzione gracile mentre a 3 anni la famiglia si trasferì a Zenobio in Santa Bona, in una villa. In questa villa c'erano affreschi con rappresentazioni come il trionfo di Paolo Emilio, le delizie di Capua, le vittorie di Alessandro ed il giudizio di Paride. C'erano statue di guerrieri,pastori, dei ,ninfee e semidei. Sua madre aveva come amica Armellina. Intanto il padre perse il suo amico Osvaldo. Il figlio Bernando di Armellina aiutò suo padre a raccogliere gli agrumi ed i fiori. Era lettore di romanzi eroici e Tasso. Angela cresceva dentro alle idee greche e romane. Armellina aveva anche un altro figlio: Domenico. Divenne amico di Angela e intanto il padre acquisto un Asina quando Angela aveva 6 anni. Iniziò la scuola ,studiando latino. Il padre intanto perse suo fratello, anche lui giardiniere. La famiglia andò poi a Venezia . Lei perse la gatta e poi prese il vaiolo, guarendo. Nella scuola femminile studiava greco e latino. Poi venne espulsa. La nonna li fece da maestra. Lesse romanzi e libri di preghiere. Poi la famiglia ritornò a Santa Bona. Il padre gli prese un pulcinella per regalarlo a Domenico . La famiglia ritornò a Venezia ma prima il padre conobbe un poeta,Giovanni Pozzobon. Il padre gli prese un cane di nome Selva. Il conte Alvise Zenobio intanto portò nella villa due camerieri inglesi, uno amante dei libri e l'altro alle bottiglie. Verso i 14 anni Angela voleva iniziare a scrivere. Una vecchia tabacchiera del padre fu il primo calamaio. Gli regalano una penna, l'inchiostro e delle lettere scritte. In quell'anno scrisse il sonetto Questi che vien di sopra di cocchio aurato. Intanto ricevette le trascrizioni dell'Eneide dell'Annibal Caro e le Metamorfosi di Ovidio .LA contessa Albrizzi fece conoscere il cavalier Ippolito Pindemonte. Francesco Bragadin regalò ad Angela le poesie della Zappi e del Frugoni. A Breda Angela conobbe il dottore Ghiralda di Onigo. Era un poeta e desse degli scritti a lei. Intanto visitò Bassano ed Conegliano. Il poeta Zacchiroli recitò a lei il melodramma Giuda all'Albero. Poi conobbe l'abate Bernardi e l'Abate Viviani. A Selvazzano Angela scrisse varie poesie. Conobbe anche Teresa Boldrin Albertini ed Angela scrisse un sonetto per uno studente. Poi conobbe il poeta e Conte Pagani-Cesa, traduttore di poesie tedesche e latine. A Biadine conobbe un amico dell'abate Dalmistro, consegnando delle poesie diretta alla pastorella del Sile. Lei scrisse alcune sestine . Nel 1810 Angela era a Padova e Clementina Caldarini la presentò al professor Francesconi, che consigliò a lei di dare delle lettere al prefetto Zecchini. A Pontelongo Angela soffriva per le inondazioni. Qui conobbe il poeta Carrari ed Angela accettò il diploma contro il volere del Podestà di Bovolenta. Nel 1813 entrò nell'accademia degli Agiati. Nel 1814 si sposò con un giovine Mantovano. Il conte Antonio di Brazza udinese era entusiasta delle poesie di Angela. Nel 1817 conobbe Arminio Luigi Carrer, triste ma brillava di fuoco poetico. Era bizarro nelle sue opinioni ed aveva una cerchia ristretta di amici. Lei scrisse una nuova edizione delle sue poesie mentre conobbe il conte Perolari-malmignati, adornato di talenti, buon gusto della poesia ed fervido di spirito e cuore. L'8 ottobre 1847 morì a Padova.
RIME
I
O dolce amor di Zefiro,
Rosa, che il vergin seno
Apri lucente e pieno
Di rugiadoso umor,
Dimmi, vedesti ancora
Passar per questa via
L'Idol dell'alma mia,
L'amato mio Pastor?
Se tu lo vedi, o rosa,
Deh! digli le mie pene,
Digli ch'egli è il mio bene,
L'unico mio tesor.
Ma se di qualche ninfa
Tu lo vedessi accanto,
Versa per me quel pianto,
C'hai sulle foglie ancor.
II
Scostati da quell'urna,
Incauta Pastorella,
Non guidar capro, o agnella
A pascolar colà;
Dove non spunta un fiore
Che velenoso e rio....
Ah! da quell'urna oh Dio!
Scostati per pietà.
Ivi sepolto giace
Un perfido Pastore,
Che mai conobbe Amore,
Che mai serbò la fé.
Se vuoi saperne il nome
Chiedilo a cento belle
Tradite Pastorelle,
Che lo diran per me.
VIII
Se il bacio della mano
Ritrosa a te negai,
Di simil bacio il sai
Uso fra noi non è.
Quel bacio è destinato
A ninfe peregrine
Di gemme adorne il crine,
Cinte di nastri il piè.
A rozze villanelle
Omaggi non si denno;
Basta un saluto, un cenno
Di semplice pastor.
Non adirarti, e sappi
Che un sol tuo bacio, o Elpino,
Decide del destino
Del povero mio cor.
X
Benedette Collinette,
Così verdi, così belle,
Ove torno
Ogni giorno
Con le poche pecorelle
Qui si gode
Senza frode
La beata libertà;
Cura indegna
Qui non regna,
Ma l'ingenua verità.
Rilucente
D'Oriente
Sempre sorge il Dio di Delo,
Sempre belle Son le stelle,
Sempre chiara è Cintia in Cielo.
Qui di mille
Fresche stille
Brillan sempre e l'erbe e i fior;
E la pace
È verace
XV
il dono
Due vaghe tortorelle
Donommi il mio pastore
Dicendomi: – D'Amore
L'offerta non sdegnar.
Da queste imparerai
La fedeltà più rara,
E imparerai, mia cara,
D'Amore a palpitar.
– Le presi, e in loro imprimere
Volea due caldi baci;
Ma che? le penne audaci
Repente all'aer spiegar.
Allor, ridendo, io dissi
Al dolce mio tesoro:
– Imparerò da loro
– La libertà a bramar. –
Fra le Ninfe e fra i Pastor
XVII
Spargendo di fiori la tomba del Petrarca
Di te degno, e a te più grato
Ben sarebbe il casto allor,
Ma nel povero mio prato
Solo nascono de' fior.
XVIII
A Licori
Ogn'istante, o Licori,
Vai crescendo in beltà: più vivi i rai
Sempre tu movi intorno
E s'avvicina il giorno
Che per un sguardo sol mille n'avrai.
XIX
Alla Fortuna
Perché, se fido e tenero
Mi diè Natura un core,
Perché, se il Cielo un'anima
Mi diede tutta Amore,
Farmi infelice e misera,
Sorte crudel, perché?
Ah! l'oro e le dovizie
Son riserbate ai perfidi,
Che van seguendo il vizio
Con baldanzoso piè,
Chi segue la virtù
Felice mai non fu.
Nessun commento:
Posta un commento