donne bronzo 2025 europei

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venerdì 11 febbraio 2022

Girolamo Fontanella

 Girolamo Fontanella nacque agli inizi del 1600(1607 o 1612) a Napoli e morì tra il 9 marzo 1643 ed il 20 aprile 1644, data in cui Giambattista Risico di Simone gli fece una dedica. 

La sua raccolta poetica è divisa in tre raccolte con Ode nel 1633, a Napoli i nove cieli nel 1640 ed Elegie nel 1645. Fu membro dell'Accademia degli Infuriati e anche dell'Accademia degli Erranti di Napoli.  La sua poesia si muove nell'Ambiente.

I suoi primi componimenti ci furono nel 1628 e nel 1632 scrisse L'Ode, dedicata ad un eruzione del Vesuvio. Le Odi sono in elogio ad Artemisia Gentileschi, pittrice dell'epoca. 

I nove cieli sono divisi in 9 sezioni: luna ,mercurio, sole, Marte, Giove, Saturno, stelle ed Empireo. Le Elogie furono pubblicate in data postuma. 


IL VELO SUL PETTO

     Qual bianca nube d’odorosa tela,
prezïosa d’Olanda alma testura,
nel petto di costei candida e pura,
tanta vaghezza di candor mi cela?
     Deh, tu, pietoso Amor, scoprimi e svela
quel bianco marmo ch’intagliò natura,
e per l’Egeo de l’amorosa arsura
tu di quel velo omai fammi la vela!
     Prendilo, o tu ch’hai di volar costume
i campi del volubile elemento,
paraninfo d’amor, leggiadro nume! —
     Ed ecco giá che spiritoso e lento,
col ventilar de le sue molli piume,
quel che mi nega Amor mi dona il vento.


IL DONO DEI GUANTI DI SETA

     Pompe di leggiadria, spoglie odorate,
di sidonia maestra opre ingegnose,
ove l’industria a meraviglia pose
mille di seta e d’òr fila intrecciate;
     ite per custodir quell’animate
nevi, quelle d’amor candide rose:
quanti baci vi do, nunzie amorose,
a la bella ch’adoro oggi portate.
     Vestite quel purissimo candore,
con quei viluppi di meonie sete
prendete i lacci ad emular d’Amore.
     Oh quanto agli occhi miei grate sarete,
se quella man, che m’imprigiona il core,
per mia vendetta in prigionia stringete!


LA NENIA PRESSO LA CULLA

     Tremola navicella un dí movea
quella che del mio cor regge la chiave,
e spirando col canto aura soave,
per l’onde de l’oblio lieta scorrea.
     Ubbidia la quïete al moto grave,
che con impeto lento il piè facea,
e l’agitata e pargoletta nave
in braccio a Pasitea lieta correa.
     Placida nube e grazïosa intanto
chiuse al fanciullo il delicato ciglio,
ch’umido si vedea di molle pianto.
     Cosí, dentro un bel velo aureo e vermiglio,
il sonno apporta Citerea col canto,
dentro cuna di rose al nudo figlio.


INVIANDO UN PAPPAGALLO

     Questo de l’indo ciel pomposo augello,
peregrino volante, alato mostro,
che discepolo apprese, accorto e bello,
distinto il suon de l’idïoma nostro;
     mira com’ha leggiadro il curvo rostro,
come liscia la piuma e terso il vello;
ha manto di smeraldo e bocca d’ostro,
che ridice talor quanto io favello.
     In cosí vaga prigionia raccolto,
miralo com’è vago e come arguto,
come a la tua beltá si sta rivolto.
     Ma temo, oimè, ch’in tuo poter venuto,
stupido a lo splendor del tuo bel volto,
ove garrulo fu, non torni muto.


IL PETTINE ROTTO

     Candida e delicata navicella,
ch’era di terso avorio opra gioconda,
d’una chioma fendea dorata e bella
l’aurato flutto e la tempesta bionda.
     Guidata da una man polita e monda,
prendea de’ miei sospir l’aura novella;
ed un cristallo ch’ebano circonda
innanzi avea per tramontana e stella.
     Vago di gir con peregrino errore,
senza temer di rimanere assorto,
v’ascese incauto il semplicetto core.
     Ecco, mentre attendea vicino il porto,
per quello biondo pelago d’amore
si divise la nave e restò morto.

CONFESSIONE DI POETA

     Ne la scola d’amor non fui giammai,
e de l’arte d’amor détto e ragiono;
come esperto amator, di duo bei rai
descrivo il lampo e non conosco il tuono.
     Mostro in carte d’amar, né seppi mai
come d’alma beltá gli effetti sono;
piangendo vo con dolorosi guai,
ma de’ miei pianti è simulato il suono.
     Quel che sento narrar vero ed espresso
da un fedele amator coi detti sui,
figurando talor vo di me stesso.
     Dipinsi amor, ma non conobbi lui,
e colorii con la mia penna spesso
ne le favole mie gli amori altrui.


IL RUSCELLO

     Questo limpido rio, ch’ai prato in seno
da una lacera pietra esce tremante
e, quasi re di questo campo ameno,
s’incorona d’erbette, orna di piante;
     quando il sole col raggio apre il terreno
su ’l leone del ciel fiero e stellante,
allor che stanco dal calor vien meno,
dolce ristora il peregrino errante.
     Sono i suoi mormorii trilli canori,
al cui suono gentil canta ogni augello,
a la cui melodia danzano i fiori.
     Ben si può dir, tanto è suave e bello,
per questi alati e musici cantori,
organo de la selva e non ruscello.

INVOCAZIONE ALLA PIOGGIA

     Apri i fonti superni, e larga a queste sitibonde campagne acque diffondi,
tu che cinta lassú d’arco celeste
sopra trono di nubi il capo ascondi.
     Son de la terra i fior bocche funeste,
e sospiri gli odor, lingue le frondi,
che per tante ammorzar vampe moleste
pregan che sopra lor prodiga inondi.
     Tragico il bosco; e ’l monte orrido e solo funestato ha di polve il crine e ’l manto,
e campo d’Etiopia appare il suolo.
     Per aver nel calor rifugio alquanto, querulo piangeria l’almo usignuolo;
ma gli manca la voce e muore il pianto.


LA PERLA

     Vaga figlia del ciel, ch’eletta e fina sei di conca eritrea parto lucente,
ricchezza del bellissimo orïente,
nata e concetta in mar d’umida brina;
     tu allumi di candor l’onda marina,
uscendo incontra al Sol bianca e ridente;
il cui valor, la cui beltá nascente,
ogni ninfa, ogni dea pregia ed inchina.
     Tu, pullulando fuor d’alma natura,
non prendi qualitá di salso gelo,
non tingi il tuo splendor di macchia impura;
     ma qual vergine bella in bianco velo
lasci a l’onda l’amato, e pura pura
fai de la tua beltá giudice il cielo.







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